FUSIONISTI / CONSERVATORI. INSOMMA GENTE DI DESTRA
UNA RIFORMA PER IL FUTURO
“Stabile nell’instabilità” così è sempre stato noto il sistema italiano della “prima Repubblica”, capace di cambiare governo per ben 52 volte mantenendo però sempre una continuità politica interna ed una azione estera coerente con i governi precedenti. E grazie al kaiser: PLI, PRI, PSDI, PSI, MSI, PNM, per i più giovani, non stiamo avendo una crisi dislessica, ma volevamo semplicemente evidenziare come fosse facile cambiare governo ogni anno se poi alla base di tutto rimaneva la vecchia e rassicurante Democrazia Cristiana a tenere la barra dritta.
Oggi quella capacità è venuta meno perché la politica occidentale è cambiata, è più divisiva, con meno regole e mancano grandi attori capaci di fare sintesi. Mentre tutti ripetono la litania del “Non ci sono più destra e sinistra”, la realtà è che le visioni del mondo tra le due sono veramente agli antipodi. Il Governo Conte II ha smantellato quello che aveva fatto con il governo Conte I, il Pd propone una versione nostrana del wokismo americano, l’ombra di Renzi tira a campare avendo già il corpo tirato le cuoia e Calenda non si sa chi e cosa rappresenti. Le priorità cambiano ogni anno, i governi passano da essere sovranisti ad europeisti in poco tempo e la fiducia internazionale verso il nostro paese è piuttosto bassa da decenni.
L’unica soluzione, e qui finiamo questo “mucho texto“, è consentire ai governi di governare, di fare politiche ad ampio raggio, di mantenere gli impegni presi con i partner internazionali. Sì insomma, passare da una partitocrazia, ad una Repubblica semi-presidenziale.
MA QUALE PERICOLO FASCISTA
ALTOLÀ! Perché toccare la “Costituzione più bella del mondo” è quasi peggio che mettere il ketchup sugli spaghetti. È credenza comune, e non si parla della sacra suddivisione dei poteri, che in Italia si debba concedere poco potere a tante cariche, così da scongiurare derive autoritarie e preservare la democrazia. Risultato? Tutti hanno poco, nessuno decide, nessuno si assume responsabilità. Su queste basi errate si è scelto di costituire l’Italia una Repubblica parlamentare, vale a dire dei partiti i quali sono, per loro stessa natura, litigiosi e più interessati alle percentuali che all’amministrazione dello stato.
Il fascismo, però, non è nato da un governo forte bensì da una democrazia debole, nella quale i governi si alternavano freneticamente senza capacità di risolvere i problemi. La Francia lo capì benissimo nel 1958 e rafforzò la sua democrazia consentendo ad un presidente, eletto dal popolo, di governare fino a scadenza di mandato.
Spoiler: la nostra NON è la Costituzione più bella del mondo e, per far schiumare qualche progressista indomito, non è nemmeno una costituzione giuridica, è semplicemente un testo politico scritto contro qualcuno e qualcosa (casa Savoia e il fascismo). A noi va anche bene, ma è chiaro come le necessità dell’Italia del 1945 non siano quelle dei giorni nostri e che ora urge una costituzione che disciplini uno stato serio, funzionante, efficace. Il fascismo non tornerà per questo. Anzi.
In vista delle elezioni, buona parte dei governi ha sempre messo mano alla legge elettorale nella speranza di volgerla a proprio vantaggio. Morale? Hanno sempre perso.
Ma non è che porterà un po’ sfiga sta legge elettorale?
Per noi, rafforzare il ruolo del governo non ha alcun senso senza una legge elettorale che limiti una volta per tutte l’assurdo partitismo italiano.
Il nostro sistema è il più frammentato in Europa e anche quando Pd e PDL si contendevano il governo, il bipolarismo fu quasi di facciata: alle politiche del 2006, infatti, le due coalizioni erano composte da ben 14 liste differenti.
Un governo serio, stabile e libero dal partitismo può esistere solo con una maggioranza chiara ed omogenea, alla quale vengono assegnati i seggi necessari per governare.
1948: PROPORZIONALE;
1953: MAGGIORITARIO;
1953: PROPORZIONALE;
1993: MATTARELLUM;
2005: PORCELLUM;
2014: CONSULTELLUM;
2017: ITALICUM;
2017: ROSATELLUM
1958: MAGGIORITARIO A DOPPIO TURNO
Craxi, Berlusconi, Renzi: diversi tentativi di riforma istituzionale che fallirono. La politica italiana pare non gradire il cambiamento radicale alla luce del sole, preferisce vie traverse, meno chiassose e che non sconvolgano troppo, o troppo velocemente, la struttura istituzionale.
Se però i tentativi scoperti di riforma fallirono, i dati riguardanti il ricorso dei governi ai decreti leggi ed al voto di fiducia sono estremamente significativi. Gli esecutivi degli ultimi dieci anni hanno tutti una cosa in comune: la ricerca di un maggior peso ed una maggiore forza. Il continuo ricorso a strumenti che fino a ieri erano considerati di misura straordinaria, indicano come sia sempre più necessario limitare il ruolo di un parlamento instabile, procrastinatore e spesso messo in piedi con maggioranze partitiche assurde, per agevolare un’attività esecutiva più solida, capace di durare oltre l’anno e mezzo della durata media dei governi italiani e di mettersi quindi al pari dei governi europei e mondiali.
VALE A DIRE L’ANTICAMERA DI UN PRESIDENZIALISMO STRAMBO
Il ricorso al voto di fiducia ha assunto, a partire dai governi del primo decennio del duemila, un ruolo differente, con un suo incremento massiccio da parte dell’esecutivo per ottenere il passaggio di disegni di legge. Questa pratica è stata adottata in media il 30% negli ultimi sei governi (Berlusconi IV 16,42%; Monti 45,13%; Letta 27,78%; Renzi 26,72%; Gentiloni 32,99%; Conte I 31,58%) e rappresenta un significativo punto di incontro con l’art. 49.3 della costituzione francese del 1958, il quale permette al primo Ministro di impegnare la responsabilità del governo di fronte all’Assemblea e di far quindi approvare una legge, economica o sociale, senza passare per il voto assembleare, salvo mozione di sfiducia presentata in 24 ore e firmata dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea. Tradotto? Si lega la legge in questione alla fiducia del governo: o si vota a favore, approvando sia la fiducia che la legge, o si va a casa.
É noto che il voto di fiducia italiano sia di matrice differente: il governo francese non ne è soggetto all’insediamento ed in Italia nasce come strumento di garanzia e supremazia parlamentare “il governo deve avere la fiducia delle due Camere”, ma esso è diventato nel corso degli anni strumento di decisionismo politico in mano al governo, avvicinando l’approccio dell’esecutivo più al modello francese che alla concezione originariamente espressa dalla Costituzione italiana.
PER UNA REPUBBLICA STABILE OCCORRE LIMITARE LA PARTITOCRAZIA
Se la politica non affronterà seriamente il tema, sarà forte il rischio di avere un concreto funzionamento delle istituzioni troppo diverso da quello che prevede la Costituzione.
Avremo un sistema ibrido, strambo, sempre meno legato alle norme ma sempre più alle “prassi”, insomma un sistema improvvisato, quindi perfettamente italiano.
Scherzi a parte, è ora di fare sul serio: rafforziamo la democrazia e custodiamola per il futuro: riforma semipresidenziale e legge elettorale in Costituzione.